Dietro a ogni invito, nascosta dentro ogni richiesta c’è una domanda, un bisogno, un desiderio che chiede di essere appagato: la telefonata di un amico che ci propone di uscire a mangiare qualcosa, a secondo delle parole usate dice la voglia di stare insieme o la ricerca di un aiuto; lo studio e la ricerca contengono l’esigenza di capire, approfondire, di trovare una risposta a domande che interrogano l’esistenza e l’agire dell’uomo. Anche nell’iniziare questo pomeriggio trovo che sia importante domandarci: «Perché facciamo quello che facciamo?».
Porsi la domanda è utile perché riguarda il tempo e tutti noi che lavoriamo nell’ambito della Pastorale Giovanile sappiamo che il tempo è prezioso! L’oro è prezioso perché è rispetto ad altri metalli è raro ma lo diventa molto di più se forgiato come un anello e donato come segno vero di una promessa d’amore; l’acqua è preziosa, soprattutto là dove manca ma lo diventa ancora di più se offerta a qualcuno che ha sete o se resa – per mezzo della Parola – porta di ingresso per una vita nuova.
Il tempo è prezioso, ce lo insegna il libro di Genesi, non soltanto perché al centro (il quarto giorno) del racconto della creazione e perché senza il tempo non esisterebbe la storia e la vita dell’uomo ma anche perché il tempo è il luogo della benedizione. Sul finire di ogni giorno yhwh si volta indietro, guarda e benedice quello che ha fatto perché vede che «è cosa buona».
Domandarsi perché facciamo quello che facciamo è abituare lo sguardo a benedire – laddove c’è da farlo – a riconoscere la bontà e la fecondità della vita che nasce e di quello che cresce. È imparare lo sguardo di Gesù che ai discepoli insegna a occuparsi del grano (Mt 13,30), a pensare a cose feconde lasciando da parte la zizzania che è vuota, arida, velenosa e non porta frutto.
La chiave che vorrei usare per entrare con voi nel tema dell’accompa-gnamento spirituale è la paternità, la fecondità perché ciò di cui stiamo parlando non interessa principalmente la tecnica ma la vita, che si realizza nel medesimo orizzonte dal quale è sorta e riguarda la nostra partecipazione all’opera creatrice, la nostra creatività[1].
La vita nello Spirito
Iniziamo considerando anzitutto lo spirituale e partiamo da una prospettiva antropologica che sta alla base di una tecnica di scrittura dell’icona: «Il ritratto di Cristo e, del resto, tutti i ritratti dei santi, nelle icone vengono disegnati su una composizione di quattro cerchi concentrici»[2]. Il primo cerchio si trova sulla fronte, in mezzo agli occhi, è invisibile, nascosto, come lo sono tutte le cose di Dio e il luogo fecondo dal quale nasce la vita. È un punto, un centro, nel quale è raccolto un seme. È il luogo dell’inabitazione dello Spirito Santo, l’amore di Dio riversato nei nostri cuori (Rm 5,5).
Il cuore[3] – la coscienza – è il centro più intimo della persona, il sacrario dell’uomo, il luogo della sua identità più profonda e più vera, spazio – o realtà – nel quale abita una testimonianza, una voce che ripete costantemente la medesima verità, un centro – un perno – attorno al quale la vita trova il suo movimento pieno. «Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8,16). Al centro dell’uomo c’è la voce dello Spirito che testimonia (summarturei) la figliolanza con Dio: «Tu sei mio figlio, tu sei mia figlia». È l’annuncio ricevuto da Cristo nel suo battesimo (Mc 1,11) e in lui, nuovo Adamo, a tutti gli uomini. In ogni situazione della vita – anche nel peccato – la voce dello Spirito non smette mai di testimoniare l’intimo dialogo di figliolanza tra l’uomo e – come accade nella Pasqua di Tommaso (Gv 20,17) – il suo Dio.
Chi ha sentito almeno una volta questa voce sa di che cosa si tratta quando si parla di quella nuova nascita annunciata da Gesù a Nicodemo (Gv 3,3). Nell’architettura ottagonale del battistero i nostri Padri hanno voluto descrivere l’inizio di questa nuova nascita, lo spunto di quel movimento di trasformazione che dura per tutta la vita e vince l’inerzia del primo uomo fatto di terra (1Cor 15,47) per generare il secondo uomo che viene dal cielo. Nella concezione antica il quadrato simboleggia la terra (quattro elementi, quattro punti cardinali…), l’ottagono è l’inizio di una rotazione, l’inizio di una vita nuova verso la somiglianza con Dio – simboleggiato dal cerchio. La vita spirituale è movimento e trasformazione, semplicemente perché così è il Regno di Dio: un grano di senape che cresce (Mc 4,31), una pasta che lievita (Mt 13,33), una rete gettata nel mare (Mt 13,47), un mercante in cerca di perle preziose (Mt 13,45).
Questo movimento ha anche il sapore dell’inizio, dell’intuizione di una promessa che illumina perché sembra poter dar senso alla vita, e si può osservare, riconoscere, la si deve accompagnare nel suo passare attraverso gli altri due cerchi dell’icona, verso il quarto. Il secondo cerchio include la fronte e gli occhi, è il cerchio dell’anima, del mondo psichico, dell’intelligenza, del sentimento, delle emozioni e della volontà. La vita nuova sorge attraverso la conversione (meta¿noia) che è cambiamento di mentalità, di pensiero, lenta trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne (Ez 11,19; Ez 36,26) sviluppo dei sentimenti di Cristo Gesù (Fil 2,5). Sempre più verso la superficie in quella che chiamiamo conversione morale, delle azioni, dei modi di fare, degli atteggiamenti: il terzo cerchio abbraccia i capelli, la bocca, la barba; rappresenta il corpo, la dimensione più esposta dell’uomo, la sua relazione con il tempo (i capelli si imbiancano e cadono, il viso si segna di rughe) e del modo di stare nella vita, racconta della possibilità di stare nella storia in maniera nuova, senza le preoccupazioni del mondo (Mt 6,25) dice della possibilità di un corpo (la bocca è il segno della sensualità, della parola e del nutrimento) che è riconosciuto fatto per essere in relazione d’amore, capace di lavorare – nei suoi gesti concreti – per il compimento dell’opera della misericordia (Mt 25) perché l’amore (Gv 13,32) ha a che fare più con i fatti che con le parole ha a che fare con i fatti più che con le parole (EESS 194).
L’amore si vede. Il quarto cerchio è un cerchio d’oro puro, segno di Dio e della sua presenza, simbolo di quei cieli sotto i quali si svolge la vita dell’uomo nel tempo e rimando a quel grembo[4] che è il grembo di Dio, la storia, dove la nostra terra (il nostro Adamo) è plasmata come per le mani di un vasaio (Sir 33,13) trasparenza di quella vita nuova che dal di dentro rinnova e riscalda – come fosse il nucleo incandescente del nostro pianeta – tutte le dimensioni dell’uomo: soma, psyché, polis, kosmos. È vedere e accompagnare il sorgere della vita nello Spirito, che porta i suoi frutti: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). È quella luce d’oro che brilla dal volto dei santi e che per noi è diventata segno soltanto di una meta difficile, perché riteniamo che poco abbia a che fare con l’essere peccatori[5]; è quella luce d’oro che descrive la vocazione di tutti (LG 50), l’unico desiderio di Dio e il desiderio nascosto in ogni nostra azione (CCC 27) il desiderio più profondo di noi stessi, la vita eterna, la vita semplicemente, la felicità (SS 11).
Come tutto ciò che riguarda Dio, anche lo spirituale è molto semplice così come lo è l’accompagnamento: il suo scopo è condurre gli uomini alla scoperta della figliolanza con Dio, alla possibilità di udire la voce dello Spirito e accompagnare la loro trasformazione. Tutto qui.
Accompagnare
Forse abituati dalla vita in seminario o nelle case di formazione, siamo portati a pensare che accompagnamento spirituale sia sinonimo di direzione spirituale e nel tentativo di una sua riscoperta – a partire dalla seconda metà del secolo scorso – abbiamo invitato i giovani ad “avere un padre spirituale” cercando di volta in volta di chiarire tecniche e modalità di svolgimento del colloquio, caratteristiche dell’uno e dell’altro dei soggetti implicati[6]. Tutte attenzioni estremamente importanti ma che si riferiscono all’aspetto più maturo di quella che è l’opera di accompagnamento spirituale.
Perché facciamo quello che facciamo? Il senso del ministero della Chiesa può essere sintetizzato nel comando del Risorto che chiude il primo Vangelo: «Andate e fate discepole tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[7] (Mt 28,19). Il verbo usato maqhteu/sate, rimanda a una relazione, un rapporto stretto e personale con il Maestro. La vita eterna è questa: «Che conoscano il Padre e il Figlio che ha mandato» (Gv 17,3).
Come fare a condurre a questo incontro? In che modo preparare la strada perché il seme della Parola dalla quale nasce la fede (Rm 10,18) gettato in abbondanza dal Padre (Mc 4) e che porta la vita (Mt 13,33) possa giungere nel profondo e fecondare la vita? Ma… Perché un giovane dovrebbe voler conoscere Cristo? Che cosa lo potrebbe affascinare di questo Dio del quale con tutta probabilità ha un’immagine falsata e lo pensa come un grande architetto o un grande mago, un’entità distante o un giudice severo, qualcuno o qualcosa al quale rivolgersi per sfuggire ad una sua volontà[8] incomprensibile o capricciosa? Perché avvicinarsi a un Dio che non toglie lo scandalo del male e per quale motivo – se è così buono come dicono – permette la sofferenza, il dolore, la morte? Per quale motivo lasciarsi accompagnare da personaggi più o meno qualificati che fanno parte di una società che parla di Dio ma agisce come tutti gli altri uomini, perché fidarsi delle parole di una Chiesa legata al denaro, rigida per quanto riguarda la sessualità ma invischiata a questo riguardo negli scandali peggiori[9]?
Per accompagnare qualcuno da qualche parte è necessario conoscere la strada pena il rischio di finire insieme in un fosso (Mt 15,14). Per guidare una persona fin sulla cima della montagna è necessario esserci già saliti – possibilmente più di una volta – diventare esperti, sapere che ci sono molte vie per arrivarci, riconoscere e ascoltare il passo di chi ha deciso di camminare con noi. Così è per la vita spirituale. Per poter accompagnare tocca fare memoria e rinnovare il desiderio, ascoltare le domande della propria carne, conoscere e sentire la lotta e la fatica della gestazione[10], custodire i fatti concreti che nella nostra storia ci hanno mostrato l’amore di Dio. Che cosa il Signore ha fatto per te? Davvero ti ha liberato? Quando ti ha salvato? Da che cosa? Come la tua vita è cambiata?
Giovani
Il primo modo di educare nella fede è che «ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica» (PO 6). La cosa più importante per accompagnare è conoscere la meta, sapere dove si deve andare e sapersi fare compagni di un viaggio imprevedibile perché personale, in quanto giocato in sinergia con Dio. E la meta – lo insegna il Concilio – è lo sviluppo della propria vocazione specifica.
Qui è essenziale chiarire ancora una volta un concetto fondamentale, quello di vocazione. Normalmente siamo portati a parlare di vocazione ai giovani come di un progetto che Dio avrebbe sulla loro vita e che interessa la loro felicità, il disegno attraverso il quale la loro vita si può realizzare nella sua vera pienezza. E diciamo che a loro tocca il compito di scoprirlo. Quantomeno curioso. Per quale motivo un Dio buono e provvidente, Padre amante della vita (Sap 11,26) – e della mia vita che ha liberato con il suo sangue (Ap 1,5) – dovrebbe tenermi nascosta la strada per la mia felicità legando la riuscita della mia esistenza a una sorta di grottesca caccia al tesoro? È evidente che non può essere così. Si tratta, invece, di considerare due libertà in dialogo, quella di Dio e quella dell’uomo senza ridurne una a scapito dell’altra. Nella concezione di vocazione come progetto di Dio la libertà dell’uomo diventa una semplice adesione mentre acquista tutto lo spazio la libertà di Dio. Il contrario è concepire la vita come autorealizzazione, “farsi tutto da soli”.
Il Creatore ci ha creato creativi. E la vocazione è l’invito a mettersi alla scuola di un Maestro con il quale è possibile realizzare l’opera più importante della vita, la costruzione della vita stessa, in dialogo con lui. Nella vocazione non esiste nulla di pronto, niente da scoprire ma tutto è da inventare. La libertà nella quale Cristo ci ha liberati (Gal 5,1) – a differenza di quanto dicono le mamme ai figli adolescenti – è davvero “fare quello che si vuole” perché la libertà della vita adulta è la possibilità di esercizio della passione contenuta nel proprio desiderio, l’unico anelito profondo della vita – quello che Dio stesso ha messo nel fondo del cuore dell’uomo –, fare quello che si vuole per davvero. Perché la nostra vera volontà e la volontà di Dio suonano in consonanza come nella preghiera di Gesù nella sua lotta del Getsemani (Gv 4,34). È il desiderio profondo nascosto nel discernimento vocazionale: che cosa vuoi fare della tua vita? Che cosa vuoi per davvero? Perché vuoi diventare prete, a quale desiderio profondo risponde questa vocazione così che qualsiasi forma acquisterà il tuo ministero potrai vederlo realizzato? Come desideri spendere questa tua esistenza, dove vuoi versare il vasetto di nardo prezioso (Mc 14,3) così che il suo profumo si spanda per tutta la casa, nelle tue relazioni, nella tua vita? Che cosa ti appassiona, qual è il modo migliore nel quale pensi di poter creare qualcosa, mettere al mondo, generare vita?
Questa è la meta e il compito che la Chiesa ha nei confronti dei giovani – e di tutti gli uomini – a servizio del loro Battesimo. La strada è diversa per ciascuno, imprevedibile, perché costruita nel personale dialogo con Dio. E questo è il punto: chi è Dio? È possibile tessere un dialogo con lui? Ma davvero Dio mi ama?[11] Domande di questo tipo – che, evidentemente, continuano a sorgere a ogni tempo della vita e talvolta anche nella nostra – dicono il primo tempo di un accompagnamento spirituale. Quello che facciamo lo facciamo anzitutto perché i giovani possano conoscere e incontrare Dio, da lì potrà iniziare la consapevolezza della loro storia con lui. In altre parole: trovo che nel nostro tempo è necessario annunciare nuovamente il kerigma, annunciare una salvezza che ha a che fare con la vita. Non ci servono teorie su Dio, occorre intuire in lui la possibilità di essere salvati, da che cosa?
«Il Signore ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati» (Ap 1,5). Francamente, non so voi, ma ci sono alcuni peccati che tutto sommato non è poi così spiacevole commettere, perché dovremmo voler essere liberati? L’argomentazione riguardo al “tu devi” mi sembra – grazie a Dio – che non regga più di tanto se non su personalità per le quali avremmo bisogno di altri tipi di aiuto[12].
Il discorso sul peccato è un punto essenziale per annunciare la salvezza perché il peccato, come tutti gli atti dell’uomo, è un tentativo maldestro o fallimentare di cercare la felicità: ci fa pensare che la vita è da salvare e che possiamo liberarci da soli da quella radice di tutte le nostre paure – e di tutti i nostri peccati – che è la paura della morte[13]: questo il gioco da smascherare. La salvezza non si gioca su uno sforzo ossessivo e illusorio ma sull’incontro con una Parola che ti ha strappato, tolto, liberato dalla condizione di morte nella quali ti eri andato a infilare per cercare la vita. Ora, gli esempi possono essere infiniti, ma anche senza pensare a peccati eclatanti, anche l’essere liberati dal dovere di fare le cose o di essere all’altezza, dall’angoscia di essere a posto, dall’ossessione che tutto debba essere in ordine possono diventare esperienze di liberazione da parte di. Non insisto di più, sapete di che cosa sto parlando.
Questo è il primo passo[14]. Si realizza per opera di Dio attraverso la nostra predicazione e il nostro annuncio, le attività che facciamo – se a questo sono orientate – attraverso il dono gratuito del nostro tempo e del nostro ascolto, nella nostra lotta contro la tentazione di giudicare, di essere direttivi e impazienti, nella disponibilità ad accettare errori e fallimenti (anche i nostri) e nella capacità di assumersi la responsabilità di condurre, senza andare a tentoni.
Il secondo è il lavoro per dare spazio al sorgere di questa vita nuova, che dal di dentro illumina, imbeve, inizia a trasparire dall’umanità di chi accompagniamo, anima e corpo. La domanda è: che cosa facilita, aiuta, il lavoro dello Spirito? Tutto quanto ci consegna la Tradizione della Chiesa. La preghiera intesa come iniziazione all’ascolto della Parola e al dialogo con Dio e pensate a quanto lavoro entusiasmante c’è da fare a questo riguardo con l’attenzione pedagogica a intuire il punto al quale un giovane si trova e provare insieme a lui a valutare come e quanto può pregare sapendo che la meta è imparare a pregare con la preghiera della Chiesa, la Liturgia delle Ore (non a “dire le lodi e i vespri”), mettersi in ascolto della Scrittura e celebrare i Sacramenti. È curioso che noi – dico come preti – spesso pensiamo che questo obiettivo sia troppo alto per loro! Se lo riconosciamo fonte viva dalla quale attingere l’acqua fresca per la nostra vita perché escludere qualcuno da questa festa?!?
Da qui dovremmo veder sorgere il desiderio della carità – e non la chiusura nei confronti degli altri, segno che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe – e la voglia di approfondire, anche attraverso lo studio, la conoscenza di Dio.
Da qui possiamo accompagnare in quel lavoro di purificazione o guarigione della memoria[15] nel quale emerge pian piano il ricordo del male commesso o subito, del male al quale si è assistito, ferite che non si sono mai cicatrizzate, che si riaprono o che si sono chiuse ma sulle quali basta “passare il dito” per riaprirne il ricordo. Si tratterà di accogliere tutto quanto una persona racconta, senza giudicare, senza indagare, rassicurando che Dio è misericordia, che una perla preziosa (Mt 13,35) caduta nel fango non perde la sua preziosità ed è per questo – per la preziosità di ciascuno – che il Mercante (CCC 2816) ha venduto tutto e ci è venuto a comprare (Fil 2). Si tratterà di collaborare con altri esperti qualora emergessero questioni particolari.
Da qui si può accompagnare il fiorire di personalità mature, ricche, piene nella loro femminilità e mascolinità. Il campo della sessualità e della lettura simbolica del corpo è estremamente ricco e carico di buona notizia. Alcuni elementi che descrivono il maschile e il femminile possono esserci di aiuto ma esigono una previa contemplazione e riflessione su di sé. «Seme, sangue e sudore»[16] ci raccontano del maschile, della sua chiamata a donare in abbondanza – più di quanto serva – perché nasca la vita, a difendere anche a costo della stessa sua vita quello che ha costruito, a resistere fino al sangue nella lotta contro il peccato (Eb 12,4) appassionato fino a sudare sangue (Lc 22,44) per collaborare all’opera di salvezza. Uomini capaci di sudare, lavorare notte e giorno con fatica (2Ts 3,8) presenze stabili e capaci di stare al fianco, guidare, sorreggere, insegnare, iniziare… Donne che siano terra, nutrimento e vita[17], capaci di contenere, custodire, accogliere, dimore non soffocanti presso cui abitare; donne che ricevono l’annuncio di un sangue che testimonia la fragilità dell’esistenza, il suo fallimento, la possibilità che la vita non sorga. Il loro corpo – con la sua capacità di partorire – le dispone al contatto con il dolore e la sofferenza, l’inizio e la fine della vita. La donna porta in sé il coraggio della vita, è disposta naturalmente al suo servizio, come Sifra e Pua, le levatrici degli egiziani (Es 1,15) e le altre donne di cui la Scrittura è piena, intuiscono dove sta il bene e lo compiono.
La buona notizia intreccia anche le fatiche che incontriamo nei nostri giovani – anche in quelli che accedono ai seminari e ai percorsi dei nostri istituti di vita consacrata. Incontriamo giovani uomini che sembrano più inclini a conservare la vita piuttosto che perderla, ragazze timorose di partorire vita, incapaci entrambi – forse perché mal introdotti – a mettere al mondo, far crescere, custodire, prendersi a cuore, lottare per generare vita. Così come troviamo giovani e ragazze appassionate, accese, sani e vigorosi che senti di poterli vedere diventare padri e madri.
L’accompagnamento spirituale dei giovani non può non arrivare ad un certo punto a confrontarsi con la domanda essenziale: «Dove vuoi versare completamente la tua vita?». Che cosa ti appassiona così tanto da spingerti a scegliere di perdere l’unica vita che hai, per guadagnarla. Del resto la vita è fatta per essere persa, vale la pena decidere per che cosa valga davvero la pena (Gv 12,25).
A noi il coraggio di affiancare questi passaggi maturando in competenza e assumendoci la responsabilità di far chiarezza senza andare a tentoni perché in gioco c’è la vita di chi accompagniamo, con il rischio così grave di non decidere nulla e la bellezza unica e meravigliosa di veder fiorire l’inizio di una storia di relazione con Dio.
don Michele Gianola
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Note
[1] Cf. Berdjaev, N., Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Milano 1994.
[2] Rupnik, M.I., Nel fuoco del roveto ardente, Roma 1996, 34. Testo consigliato.
[3] Bianchi, E., «Cuore», Temi teologici della Bibbia, 288-294; Lepore, L., «Coscienza», Dizionario Biblico della Vocazione, 165-171.
[4] Cf. Cabasilas, N., La vita in Cristo, Roma 1994; Evdokimov, P., Le età della vita spirituale, Bologna 1981. Testi consigliati.
[5] Cf. Padovese, L., Piccoli dialoghi tra santi di marmo, Padova 2005. Lettura piacevole ma non riguardante il tema dell’accompagnamento spirituale.
[6] Cf. Rendina, S., «Direzione spirituale», RasT XLIV (2003) 4, 501-536; Toffanello, G., «‘Padre, dimmi una parola’. La direzione spirituale dalla parte del diretto», CrOggi XIII (1993) 75, 84-96; Cencini, A., Il cuore del mondo. Accompagnare un giovane al centro della vita, Milano 2006; Ruiz Jurado, M., Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pratica, Cinisello Balsamo (MI) 1997; Schiavone, P., Il discernimento. Teoria e prassi, Milano 2009; Cencini, A., Quando la carne è debole. Il discernimento vocazionale di fronte alle immaturità e patologie dello sviluppo affettivo-sessuale, Milano 2004; Rupnik, M.I., Il discernimento. I. Verso il gusto di Dio. II. Come rimanere con Cristo, Roma 2004. Testo consigliato.
[7] Cfr. J.-P. Sonnet, «De la généalogie au “faites disciples” (Mt 28,19). Le livre de la génération de Jésus», in C. Focant – A. Wénin, ed., Analyse narrative et Bible, Leuven 2005, 199-209.
[8] Cf. Rondet, M., «Dio ha una volontà particolare su ciascuno di noi?», http://www.ge-suiti.it/bologna/MaterialeVario 21/09/2011, 1-5. Testo consigliato.
[9] Cf. Hernández, J.-P., Ciò che rende difficile la fede. Vademecum per pellegrini che si stancano spesso, Roma 2013. Testo consigliato.
[10] Bianchi, E., Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali, Cinisello Balsamo (MI) 2012; Voillaume, R., La seconda chiamata. Il coraggio della fragilità, Milano 2007.
[11] Hadjadj, F., Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione, Padova 2013. Testo consigliato.
[12] «Se non riesci a peccare, va’ dallo psicologo e curati: se hai peccato vai dal prete e riconciliati». Fausti, S., Occasione o tentazione? Arte di discernere e di decidere, Milano 1997, 69. Testo consigliato.
[13] Rupnik, M.I., Il discernimento. I. Verso il gusto di Dio. II. Come rimanere con Cristo, Roma 2004, 47-52. Testo consigliato.
[14] Non necessariamente in tempo cronologico. Si può essere anche già in formazione e non aver ancora fatto esperienza di liberazione, così come la si può fare già vivendo un particolare stato di vita. Nulla di nuovo anche qui, può essere l’esperienza anche di alcuni di noi.
[15] Cf. Rupnik, M.I., Il fuoco del roveto ardente, 99-101. Testo consigliato.
[16] Bissi, A., «“Non padroni ma collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24)», Vocazioni 4 (2009) 36-50.
[17] Cfr. A. Bissi, «Il tema della donna: un contributo psicologico», in F. Imoda, ed., Antropologia interdisciplinare e formazione, Psicologia e Formazione 16, Bologna 1997, 23-55; M. Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Milano 2015.