L’esperienza Sicomoro è al suo secondo anno di realtà nella nostra vita. A Lomazzo, nella ex casa parrocchiale noi e un giovane sacerdote abbiamo trascorso otto settimane nell’anno passato (una al mese da ottobre a maggio) con cinque ragazzi e già altre due settimane quest’anno con sette ragazzi – due nuovi se ne sono aggiunti. L’esperienza nostra si affianca e si confronta con le altre esperienze di Sicomoro sparse nella nostra Diocesi, di cui una già da più anni avviata, a Bormio e già quindi nella possibilità di fare qualche consuntivo, avendo seguito ragazzi di cui alcuni hanno superato la maggior età e la maturità scolastica.
Diverse sono le angolazioni dalla quali si può fare osservazione e valutazione di quest’esperienza. Certamente, tra le tante, una delle prospettive che più sollecita noi (coppia) è la percezione concreta e vissuta di ciò che finora negli anni passati avevamo forse appena intuito e pensato: e cioè che non vi è nella vocazione specifica della maturità (ordine o matrimonio) una completezza se ciascuna delle due non porta con sé una piccola componente (anche solo in minima percentuale) dell’altra: come dire che un matrimonio non è del tutto pieno se non porta con sé una piccola “nostalgia” della vocazione consacrata, e così è di una vocazione religiosa se non porta con sé una pur piccola “nostalgia” di vita relazionata, stabile e definitiva.
Come dire che ciascuna delle due realtà vocazionali – così almeno a noi capita di intuire – non appare realmente stabile se non in sintesi ed equilibrio, tra novità e fedeltà, perchè la fedeltà senza novità sarebbe fossilizzazione e la novità senza fedeltà sarebbe avventura.
Insomma, pensiamo e viviamo che l’unità tra la vocazione matrimoniale e quella sacerdotale arricchisce entrambe e può diventare dono e stimolo per altri.
Nell’esperienza specifica del Sicomoro, pur nella familiarità che si genera tra di noi, è comunque evidente l’unicità della responsabilità, nella gestione del quotidiano fatto di tante piccole cose ma soprattutto nella relazione offerta ed accolta, nella quale diventa tangibile che l’altro rappresenta per te lo strumento della continua ricerca, della maturazione e sollecitazione a trovare Dio nella tua storia. In questo senso appare come un privilegio, per noi, il constatarlo tra coniuge e coniuge come pure tra sacerdote e coppia, mentre si accompagnano dei ragazzi “come se” fossero tuoi figli.
In questa convivenza c’è l’aspetto concreto, pratico, anche di spicciola collaborazione tra noi nella esecuzione gestionale dei compiti che la convivenza richiede, e di complementarietà nell’azione educativa verso i ragazzi, ma sopratutto c’è lo stimolo alla ricerca di senso (significato e direzione) che la vita quotidiana ha per ciascuno di loro, e di noi. A tutto ciò concorre non poco anche il semplice essere fuori dagli schemi e dalle tradizioni comuni che si formano in casa propria, perché qui si realizza quasi una sorta di essenzialità della vita familiare.
Ovviamente questa realtà del Sicomoro non esclude in qualche modo la fatica della relazione reciproca, in tutta la sua dimensione di realtà non scontata; ma è una “ fatica benedetta”, perché la passione per l’altro ti fa scoprire l’annuncio per te e la quotidianità si rivela con stupore come in una riscoperta.
Una coppia del Sicomoro
Articolo pubblicato su “Il Settimanale della Diocesi di Como” sabato 5 dicembre 2015